un bel viaggio tra le pagine di un trattato cinquecentesco
di Giovanbattista Della Porta , “Mago-Permacultore”,
che, oltre a darci una lezione di umiltà anzi tempo (come
farebbe oggi un vero permacultore) sui limiti dell’uomo “non verticale” verso la natura, ci svela anche un’agricoltura
sinergica ante litteram strettamente connessa alla Magia
Naturale.
“De i miracoli et maravigliosi effetti dalla natura prodotti” (Venezia, Ludovico Avanzi,
MDLX)
in questa sua opera, fin dalle prime pagine del testo la magia è
presentata come conoscenza della natura e della naturale amicizia e
‘inimicitia
delle cose naturali’.
Delle
varie magie, la Magia Naturale è ‘consumata
cognitione delle cose naturali’ ed è
presentata come la disciplina (definita anche ‘perfetta filosofia’) entro la quale trovano spazio pure gli studi di
agricoltura.
Nell’ambito culturale alchimistico-rinascimentale in cui
Della Porta è immerso, già si intravede : la ‘marauiglia’ e ‘l’autorità’
che avvolgono in un alone di mistero le cose di cui non si riesce a dare una
spiegazione razionale (‘quanto le cause sono ascose’)
La magia naturale è in
accordo con la natura perché ne è semplicemente ‘menistra o serua’.
L’uomo quindi, (e qui l’autore si rifà anche a Plotino), in
quanto mago che opera nella natura e con la natura, si rivela come ‘ministro,
e non artefice’ della realtà, poiché la sua arte (la magia naturale)
non crea le cose ma ‘va applicando le cose insieme’, nello stesso
modo in cui la natura produce le essenze vegetali e l’agricoltura è
‘disciplina che si adopera a che l’uomo ne tragga massimo beneficio senza
andarle contro’.
Nel mondo naturale, tra le cose, le piante e gli animali
esistono rapporti di affinità e di repulsione, mossi da reciproca convenienza o
meno (‘conuenientia e disconuenientia’). Quel che i greci chiamavano simpatia e
antipatia qui son chiamate ‘amicitia e inimicitia’ e si rivelano a noi
attraverso il gioco combinatorio delle simpatie naturali.
Procedendo nell’appassionante lettura in lingua volgare
si entra nel vivo del tema della coltivazione e quindi dell’interazione tra
uomo e natura.
L’autore tiene molto a ribadire che la natura ‘mostra
molte strade’ per intervenire nelle già ‘varie mutationi’
alle quali la natura stessa sottopone le proprie creature vegetali.
L’uomo dovrà però ricordare che molte specie sono
naturalmente predisposte alla coltivazione (‘uogliano essere coltiuate’)
sfuggendo all’inselvatichimento a dispetto di altre che invece ‘non
vogliano, anzi l’odiano’ e se sono coltivate a forza addirittura ‘diventano
peggiori’.
Citando TeofrastoAureolus Filippus (detto Paracelso) grande alchimista esoterico,medico,astrologo,filoso,botanico, l’autore espone i vari tipi di riproduzione vegetale e individua proprio qui,
nell’inversione e nella combinazione delle modalità di riproduzione forzata, il
ruolo e l’intervento dell’uomo nella domesticazione agricola: egli può operare
purché non si sostituisca ad essa, ovvero può operare solo ‘come una
seconda Natura’, producendo innesti e facendo esperimenti purché
però, si ribadisce, non dimentichi il suo ruolo e i suoi limiti, ovvero sempre
appaia ‘uestitosi di quel habito con le ragioni sensate’.
Una scienza naturale agli albori muove i primi passi
dalla catalogazione dell’osservazione di tali dinamiche combinatorie, di cui
nel testo si ritrovano numerosi esempi relativi sia al mondo animale che a
quello vegetale. La loro investigazione genera così un vasto sapere agricolo
circa i modi i tempi e le opportunità combinatorie nella coltivazione a scopo
alimentare. La concordia tra due o più piante (‘in compagnia ne fa piu gran
copia’) non è altro che il beneficio reciproco che esse traggono dalla
rispettiva vicinanza o, diremmo in termini moderni e permaculturali, consociazione.
Scopriamo e ci troviamo dunque di
fronte ad una vera
e propria agricoltura sinergica ante-litteram, scienza
concreta e astuta alla ricerca del ‘secreto comertio’ fra le
piante alimentari.
Un ulteriore punto di contatto tra l’agricoltura
descritta e la ‘moderna’ orticoltura sinergica emerge in maniera significativa
anche nel corso del IV Capitolo del II Libro, ovvero a proposito
dell’attenzione al tema del substrato misto con paglia e letame, a cumulo o a
buca e alla piantumazione contemporanea di diverse essenze.
Altro obiettivo dichiarato, oltre alla maggiore fertilità
e al reciproco beneficiarsi delle piante dalla loro vicinanza, il risparmio
idrico rispetto alle coltivazioni tradizionali. Nel testo trovano spazio molti
esempi consociativi.
Tra le migliori e principali strategie dell’uomo per
intervenire nel patrimonio genetico del vegetale alimentare o, con parole sue, ‘nelle
sue transmutationi’, la tecnica dell’innesto è quella preferita.
Nel corso del trattato l’innesto appare sempre più come
pratica di ibridazione, nella misura i cui la natura ‘per la
colligantia di molte e diverse cose insieme, ne fa uno ristretto indissolubile’.
Attraverso gli innesti si generano dei veri e
propri ibridi fertili: ibridi poiché
‘saranno di natura partecipevole d’una e dell’altra pianta’ e fertili nella
misura in cui, anche se non saranno in grado di riprodursi con successo, danno
però vita a frutti ‘marauigliosi’ come, nei numerosi esempi di
tecniche e frutti nominati, appare il Melopersico e il Noce Persico, e così
via.
La nascita dell’ibrido fertile non
appare qui come una forzatura del corso delle cose ma piuttosto come
sapiente ‘compositione di tutti li finiti’, ovvero come
una piena e felice estrinsecazione delle potenzialità combinatorie e interattive
consentite dalla natura e operate dall’uomo: l’ibridazione fa dialogare
istanze genetiche affinché esse ‘convengano nel istesso genere, si come duo
fiumi, che sorgano dall’istesso fonte’.
Ma ibrido fertile qui
è la cifra dell’incontro soprattutto tra l’uomo e la natura, l’uomo che si
ibrida col territorio e
diventa suo abitante iniziando ad assomigliargli e che al contempo induce
all’ibridazione il territorio che, abitato e segnato, si fa paesaggio e spazio
vitale.
In altre parole la fertilità sarà principalmente
da ravvisare nell’incontro (ibridazione) tra l’uomo e la natura, il cui
reciproco rispetto di ruoli e compiti genera sinergia tra
le parti, una sinergia di livello superiore rispetto a quella consociativa tra
piante che abbiamo richiamato prima, diremo quindi piuttosto di una sinergia
associativa tra gli uomini e il loro mondo, permamente e culturale in
quanto altamente morale, proprio – per chiudere con le parole del nostro
autore – come una ‘perfetta filosofia’.
(tratto da https://piccolipaesi.wordpress.com)