Già il nuovo si muove, anche se appare non diffuso e anche se non tutti se ne accorgono.
Il cambiamento è già in corso d'opera e proprio perché a livello di popolo non è realizzato, occorre che gli individui, in quanto comunità collettiva, affinino in sé, costantemente, quella chiarezza di un modo di vita "alternativo" al fallimento: nuovo, utilizzando il mezzo più consono proprio.
Questo articolo vuole avere lo scopo di vivificare ciò di cui le persone hanno già coscienza, pur non avendo ancora realizzato il cambiamento nella loro vita.
E il cambiamento ci sarà - per chiunque.
Vuole essere un auspicio di "svolta nuova" per tutti.
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Per molti anni abbiamo creduto che il modello economico capitalista creasse benessere per tutti, senza povertà né indigenza. Abbiamo pensato che la felicità dipendesse dalla ricchezza materiale. Oggi dobbiamo constatare che questo modello è in forte crisi, non solo perché è in gioco la sopravvivenza stessa degli esseri viventi sul pianeta, ma anche perché non siamo realmente felici. Certo, i bisogni fisiologici e di sicurezza – avere a sufficienza da mangiare, una casa, un lavoro – vanno soddisfatti, ma poi, superata una certa soglia di reddito, sono altri i fattori che concorrono a determinare la felicità: star bene con se stessi e con gli altri, appartenere ad una comunità o community, dare espressione alla propria libertà e creatività, avere del tempo libero, formarsi e partecipare a iniziative culturali, condividere ideali e visioni con altri per il bene di tutti, impegnarsi concretamente per una “giusta” causa…
Come costruire un futuro sostenibile, giusto, con persone felici e realizzate, come far sì che la visione di pochi diventi di molti...?
Tutti aspetti che il PIL non misura, anzi, più questo è alto, maggiori sono l’impatto ambientale e l’ingiustizia sociale. Lo aveva riconosciuto anche Robert Kennedy nel 1968, nel dire che “il PIL misura tutto eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. Il che esprime un’ambiguità di fondo sulla quale si regge tutto il nostro sistema: nella vita individuale ci auguriamo di stare bene con noi stessi, con gli altri e con la natura, ma nella pratica, nella dimensione collettiva e in quella economica sembrano essere altri i principi che contano.
Ma non è solo al nostro benessere che dobbiamo guardare. Se analizziamo il cambiamento che sta avvenendo a livello globale avremo maggiori possibilità di comprendere le cause e gli effetti della realtà in cui ci troviamo, e di comprendere che passi intraprendere a livello locale e regionale, come persone singole e come collettività…
La domanda è che futuro vogliamo costruire insieme, quali sono i principi che ci animano, quali le priorità e che obiettivi vogliamo perseguire. Avendo chiara la domanda, forse è più facile trovare le risposte e mettersi in rete con le persone che stanno già percorrendo questa strada…
L’idea di benessere collettivo che sta alla base di alcune culture, in Ecuador come nel Buthan, la conoscevano già i nostri nonni e le nostre nonne, che sapevano bene come utilizzare risorse limitate per soddisfare al meglio i loro bisogni e quelli della comunità. Una vita in armonia con la natura, della quale tutta la comunità è parte – il paradigma del buen vivir – è uno dei principi fondanti delle Costituzioni dell’Ecuador e della Bolivia. Equità sociale, promozione della cultura, salvaguardia dell’ambiente e una buona amministrazione sono invece i pilastri del Gross National Happiness Indexdel Bhutan, dove ogni legge e ogni provvedimento del governo vengono valutati in base agli effetti che potrebbero avere sulla felicità collettiva.
(tratto da Monica Margoni - www.economia-del-bene-comune.it)